Il sake si ottiene dal riso fermentato (non
distillato), è di gradazione alcolica attorno ai 15-17°, di colore
trasparente. In realtà il vocabolo esatto per definire il vino di riso è
nihonshu (vino giapponese), in quanto il termine sakè può indicare
tutte le bevande alcoliche. Tuttavia quest'ultima parola è oggi la più
usata per indicare il "vino" tipico giapponese ed essendo di più facile
memorizzazione è conosciuta in tutto il mondo.
Ecco le diverse tipologie:
- amakuchi, abbastanza dolce;
- karakuchi, di gusto più secco;
- junmaishu: sake di puro riso, senza aggiunta di alcol;
- otoso: sake speziato che si beve la mattina di Capodanno;
- shirozake o amazake: di colore biancastro e di leggerissima gradazione alcolica (preparato con riso glutinoso cotto a vapore nel mirin); viene servito in alcune occasioni particolari, anche ai bambini, per esempio il 3 marzo durante la festa delle bambole hinamatsuri. Si dice che, addizionato con zenzero fresco, sia benefico contro raffreddore o mal di gola;
- taruzake: nei secoli passati lo si offriva per celebrare momenti fausti; viene invecchiato in contenitori di profumato legno di sugi e si beve da recipienti quadrati (masu) fatti con lo stesso legno; per attenuare la dolcezza lo si sorbisce con un pizzico di sale posto su un angolo del masu. Oggi lo si serve in qualsiasi occasione, ma non lo si trova facilmente in vendita, nè in tutti i ristoranti.
Esiste poi lo shochu, un alcolico più forte del sake (la gradazione può andare da 25° a 45°), che viene bevuto caldo o freddo. Distillato dal riso, dal miglio o dalle patate dolci, fino a pochi anni fa era considerato una bevanda per il basso ceto, ma recentemente è divenuto di moda e lo si può trovare anche in Occidente.
Riso di ottima qualità e acqua pura sono i due ingredienti più importanti per la preparazione del sake. Al riso cotto a vapore si mescola il koji (una parte del riso cotta lasciata al caldo e all'umido per 35 ore così che in essa si sviluppi una muffa, o meglio un micete), si lascia fermentare, lavorandolo ancora per 2-3 mesi con ulteriori aggiunte di acqua, riso e koji e poi, dopo averlo filtrato e pastorizzato, si lascia maturare e infine lo si imbottiglia. L'intero processo di produzione ah luogo preferibilmente nella stagione fredda; il sake non si lascia invecchiare e va consumato entro un anno. Deve essere conservato in luogo buio, fresco e una bottiglia aperta va terminata entro breve tempo.
Non si conosce con esattezza l'origine del sake, ma pare che un tempo questo vocabolo significasse "prosperità" e nelle antichissime cronache del Giappone viene citato come bevanda degli dei. Nelle prime opere letterarie e negli antichi rotoli dipinti già appaiono personaggi nell'atto di gustare questa deliziosa bevanda; forse allora non aveva il colore e il sapore attuali ed era riservata ai nobili e al clero, ma la sua esistenza era parte importante della vita giapponese.
Negli ultimi duecento anni è divenuto di uso comune anche tra il resto della popolazione e fa parte ancora oggi di alcune cerimonie importantissime, come per esempio il matrimonio. La celebrazione con il rito shintoista prevede che gli sposi lo suggellino con il semplice atto di bere tre volte da una coppa di sake.
A chi ha visitato il Giappone sarà capitato di vedere in molti templi delle ordinatissime cataste di barilotti tondi coperti di ideogrammi molto decorativi: sono le offerte di sake portate al tempio dai cittadini privati o dalle aziende.
Oggi il sake si gusta dappertutto: nei ristoranti, in casa e in alcuni piccoli locali chiamati izakaya (negozio dov'è il sake) oppure nomiya. Al ristorante o a casa il sake è il naturale accompagnamento del pasto, ma in un giorno lavorativo lo si beve raramente a mezzogiorno, a meno che si tratti di un pranzo con ospiti; la sera ci si lascia andare al piacere di gustarlo senza particolari limitazioni.
Si accorda molto bene con il pesce, sia crudo che cotto, e dovrebbe sempre accompagnarlo. Naturalmente viene servito anche con un'infinita varietà di cibi (tenendo sempre presente che quanto arriva il riso in tavola si deve smettere di bere sake e passare al tè), ma lo si apprezza anche da solo, accompagnato da qualche salatino o stuzzichino che invogli ancor di più a bere.
Il luogo creato appositamente per questo è il nomiya: l'atmosfera è intima e piacevole, insieme con la bevanda vengono serviti appositi piattini di ogni genere e il conversare con i propri amici, o con il cuoco che serve direttamente dietro il bancone, diviene sciolto e privo di formalità.
Il sake si utilizza, come da noi il vino, anche per la cucina. Contiene zuccheri e aminoacidi, serve ad ammorbidire i cibi, ad attenuare la salinità o l'aroma troppo forte. I cuochi d'alta classe ne eliminano l'alcol dando fuoco alla quantità necessaria di sake, scaldandolo in una padella, ma in realtà si può usarlo anche senza questo raffinato accorgimento.
Come si serve:
Il taruzake è preferibile freddo, mentre il sake si beve generalmente caldo, anche se vi è chi lo gusta a temperatura ambiente o ghiacciato, a seconda della qualità. Per preparare al meglio quello caldo lo si versa nella piccola bottiglia apposita, chiamata tokkuri (contiene circa 1,8 dl) che si pone a scaldare a bagnomaria in una pentola di acqua calda, sul fuoco. Lo si serve quando il calore ne ha esaltato l'aroma, alla temperatura ottimale di circa 50°C. Si beve in piccolissime coppe chiamate sakazuki o choko.
Etichetta:
Se si è in compagnia si deve sempre versare il sake agli altri, mai a se stessi: saranno gli altri commensali che ricambieranno subito la cortesia, stando ben attenti a che la nostra coppetta non sia mai vuota. Poichè si considera maleducato lasciare il bicchiere o la coppa sul tavolo quando qualcuno ci versa da bere, è buona norma alzare il sakazuki tenendolo fra le dita (questa regola vale anche per il bicchiere di vino o di birra, non per il tè, in quanto ci si potrebbe scottare). E kanpai è la parola giapponese che corrisponde al nostro "cin-cin" o "salute".
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