giovedì 30 luglio 2015

Cibi augurali

In tutte le occasioni festive, ma soprattutto a Capodanno, in Giappone si gustano alcune vivande considerate di buon auspicio per diversi motivi: per il nome, che può essere simile a un vocabolo ritenuto fortunato, oppure perchè hanno delle qualità che l'essere umano vorrebbe per se stesso.

Alcuni esempi:
  • Dai dai: un Agrume simile all'arancia amara il cui nome può anche significare "di generazione in generazione", quindi che augura una lunga discendenza.
  • Ise ebi: aragosta. Il corpo dell'animale si piega durante la cottura: lo si considera perciò un augurio di lunga vita. Gli anziani giapponesi avevano spesso la schiena molto curva a causa di una vita intera spesa a lavorare nelle risaie o nei campi. Oggi per fortuna non è più così e l'aspettativa di vita in Giappone è tra le più alte del mondo: ma la tradizione rimane.

Curiosità: la cittadina di Ise, da cui prende il nome il crostaceo, è notissima perchè ospita uno dei santuari shintoisti più importanti del Giappone. Di legno naturale, nascosti in un bosco di splendidi sugi, sono in effetti due, identici, perchè uno di essi viene ricostruito ogni vent'anni, mentre l'altro resta per la sua funzione religiosa. Dopo il periodo previsto, si ha il cambio. Il Legno del tempio distrutto viene usato come amuleto o talismano per i pellegrini e così avverrà vent'anni dopo, per l'altro edificio.
In questa maniera i santuari resistono da secoli e secoli alle ingiurie del tempo e hanno così tramandato a noi la forma originaria delle antichissime, prime costruzioni di culto del Giappone.
Quando si visita questo luogo sacro ci si trova in un'altra dimensione: l'acqua del fiume in cui purificare le mani, i grandi boschi in cui immergersi nel profumo degli alberi, i santuari che sono visibili soltanto al di là di palizzate di legno, il silenzio e l'atmosfera colpiscono anche gli stranieri, che provano qui un'emozione difficile da esprimere, ma che resta per sempre nella memoria e nel cuore.

giovedì 12 giugno 2014

La macrobiotica e la cucina vegetariana

La cucina macrobiotica viene da molti confusa o assimilata a quella giapponese. Niente di più errato. Si tratta in realtà di precetti dietetici elaborati da un giapponese per gli occidentali,soprattutto per gli americani,con lo scopo di insegnare loro ad abbandonare le dannose abitudini alimentari,troppa carne,grassi,fritti e così via,che li rendono obesi.
L'ispirazione originaria venne a george Osawa dalle regole alimentari giapponesi e da quelle dei monasteri zen,ma il risultato finale si discosta dalla splendida e raffinata arte gastronomica del Giappone a tal punto che lì la macrobiotica è pressochè sconosciuta.
La cucina vegetariana (shojin ryori) ha invece un'antichissima tradizione risalente agli originari insegnamenti buddhisti: data la proibizione di cibarsi di carne di quadrupedi,volatili o pesci,è ai monaci che dobbiamo la scoperta,lo sviluppo e il perfezionamento dell'uso di ingredienti ricchi di proteine vegetali nonchè l'invenzione di una infinità di deliziosi piatti.
E' interessante sapere che cinque vegetali,aglio,cipolla,erba cipollina,porro e scalogno,sono proibiti ai monaci,perchè il loro forte sapore potrebbe risvegliare desideri troppo umani.

 

mercoledì 11 giugno 2014

Esempi di menu - parte due

La tradizione vuole che riso,minestra e verdure in salamoia giungano alla fine del pranzo,ma poichè l'uso casalingo prevede che tutto venga servito contemporaneamente,lascio la scelta ai lettori.
Si può pizzicare da un piatto all'altro,senza essere costretti a mangiare un primo,un secondo e così via. Un boccone di riso può essere seguito da uno di pesce,poi da un altro di riso,un pezzetto di verdura,un sorso di minestra,così come si desidera.
Il piacere dei piccoli assaggi,cioè il piacere della varietà,supplisce al senso di sazietà e soddisfa così,con il palato,anche l'appetito. Anzi è addirittura una regola assaggiare tutti i piatti prima di finirne uno completamente.


La frutta in Giappone,non si serve alla fine del pranzo,ma durante il giorno,quando se ne ha voglia o se arriva un ospite. Così accade per i dolci: accompagnano il tè che si beve senza aggiunte di zucchero e tantomeno di latte o limone.

Un menu deve quindi presentare:
  • un piatto di pesce crudo all'inizio,così che se ne possa godere la delicatezza quando si ha appetito e le papille non sono state toccate da altri sapori;
  • una pietanza cotta (alla griglia,stufata,fritta o altro);
  • verdura all'aceto,o al sale,o al sesamo ecc.;
  • riso;
  • minestra. 
In un menu un poco più "ricco" si possono servire dei piccoli antipasti e poi una zuppa trasparente accompagnata da pesce crudo.
Questo è il classico inizio di un pasto come si deve: L'entree di minestra e pesce è detto in gergo, wan sashi (wan ciotola e sashi è abbreviazione di sashimi,pesce crudo), Poi si può proseguire con qualcosa alla griglia,al vapore,stufato,fritto e verdure all'aceto.
Infine riso bollito,minestra con il miso,verdure in salamoia e tè.



Una tagliata saporita si accorda con la crema di uova al vapore,verdure al sesamo, un'insalata all'aceto,riso e minestra al miso.
il sukiyaki è un piatto sufficiente da sé,così come l'onabe di maiale,che può essere preceduto da piccoli antipasti,dai gamberoni alla griglia e da un'insalata di tre colori (namasu).
Gli spiedini di pollo yakitori possono costituire il piatto principale se misti e abbondanti,altrimenti sono un ottimo antipasto che può essere seguito da pesce crudo,calamari al miso,cipolle all'aceto,per finire con una minestra trasparente,riso e un piccolissimo piatto di verdure sotto sale. Un principio da tenere presente è sintetizzato dal proverbio: Taishoku hara ni mitsureba gakumon hara ni irazu (se riempi pancia di cibo non resta più spazio per il sapere).
Il significato è chiaro: se si mangia troppo non si ha più voglia di studiare,bisogna quindi cibarsi a sufficienza,ma mai in abbondanza!


 

Esempi di menu - parte uno

Un menu base deve essere formato da una minestra e tre pietanze (più il riso bianco,naturalmente). Ciò risale ad una legge suntuaria del 1694 che prescriveva al popolo giapponese regole di vita, dall'abbigliamento ai divertimenti per giungere perfino al cibo da consumare; anche lo shogun (colui che deteneva il potere in Giappone,mentre l'imperatore era solo una figura simbolica) doveva in teoria attenersi alla legge,e ichiju sansai ("una minestra tre piatti") costituiva il pasto quotidiano.


Il segreto per offrire un buon pranzo è quello di variarne la composizione: è importante che le vivande siano armonizzate e ben bilanciate. Si deve cercare di alternare, in una sinfonia di aromi, alimenti cotti a vapore con altri insaporiti con l'aceto, oppure fritti, o crudi, in modo da non stancare mai il palato.
Quello dei giapponesi è particolarmente sensibile anche alla minima sfumatura sia nel sapore sia nella consistenza: amano cibi molli, quasi collosi, e altri invece duri in modo tale da richiedere una masticazione rumorosa; ricercano la quasi totale assenza di sapore del tofu, ma amano anche il piccante zenzero.
 

 Un cibo alla griglia viene servito prima di uno al vapore,poi ne segue uno stufato,uno fritto e così via.
Con una cottura di sapore piuttosto dolce (come teryaki o kabayaki) si accompagnano verdure all'aceto o al sale. Con un piatto leggermente saporito o piccante (amiyaki o shogayaki) sono più indicati vegetali al sesamo o comunque di sapore delicato. Altra regola fondamentale è la presenza,in un pasto.di qualcosa che venga dal mare e qualcosa che venga dai monti (o dai campi).



venerdì 6 giugno 2014

Menu Estivo




Sembra finalmente essere esplosa l'estate (Natsu 夏), perciò vi propongo un esempio di menu giapponese estivo:


 Pranzo:   Melanzane alla brace
                  Involtini di manzo
                  Vermicelli con salsa fredda
                  Tè
                  Anguria
 
Cena:      Pesce crudo: orata
                 Tofu di uova
                 Melanzane al sugo di carne
                 Polpo all'aceto
                 Riso
                 Tè
                 Pesca



sabato 9 febbraio 2013

Il sakè

Il sake si ottiene dal riso fermentato (non distillato), è di gradazione alcolica attorno ai 15-17°, di colore trasparente. In realtà il vocabolo esatto per definire il vino di riso è nihonshu (vino giapponese), in quanto il termine sakè può indicare tutte le bevande alcoliche. Tuttavia quest'ultima parola è oggi la più usata per indicare il "vino" tipico giapponese ed essendo di più facile memorizzazione è conosciuta in tutto il mondo.

Ecco le diverse tipologie:
  • amakuchi, abbastanza dolce;
  • karakuchi, di gusto più secco;
  • junmaishu: sake di puro riso, senza aggiunta di alcol;
  • otoso: sake speziato che si beve la mattina di Capodanno;
  • shirozake o amazake: di colore biancastro e di leggerissima gradazione alcolica (preparato con riso glutinoso cotto a vapore nel mirin); viene servito in alcune occasioni particolari, anche ai bambini, per esempio il 3 marzo durante la festa delle bambole hinamatsuri. Si dice che, addizionato con zenzero fresco, sia benefico contro raffreddore o mal di gola;
  • taruzake: nei secoli passati lo si offriva per celebrare momenti fausti; viene invecchiato in contenitori di profumato legno di sugi e si beve da recipienti quadrati (masu) fatti con lo stesso legno; per attenuare la dolcezza lo si sorbisce con un pizzico di sale posto su un angolo del masu. Oggi lo si serve in qualsiasi occasione, ma non lo si trova facilmente in vendita, nè in tutti i ristoranti. 

Esiste poi lo shochu, un alcolico più forte del sake (la gradazione può andare da 25° a 45°), che viene bevuto caldo o freddo. Distillato dal riso, dal miglio o dalle patate dolci, fino a pochi anni fa era considerato una bevanda per il basso ceto, ma recentemente è divenuto di moda e lo si può trovare anche in Occidente.

Riso di ottima qualità e acqua pura sono i due ingredienti più importanti per la preparazione del sake. Al riso cotto a vapore si mescola il koji (una parte del riso cotta lasciata al caldo e all'umido per 35 ore così che in essa si sviluppi una muffa, o meglio un micete), si lascia fermentare, lavorandolo ancora per 2-3 mesi con ulteriori aggiunte di acqua, riso e koji e poi, dopo averlo filtrato e pastorizzato, si lascia maturare e infine lo si imbottiglia. L'intero processo di produzione ah luogo preferibilmente nella stagione fredda; il sake non si lascia invecchiare e va consumato entro un anno. Deve essere conservato in luogo buio, fresco e una bottiglia aperta va terminata entro breve tempo.

Non si conosce con esattezza l'origine del sake, ma pare che un tempo questo vocabolo significasse "prosperità" e nelle antichissime cronache del Giappone viene citato come bevanda degli dei. Nelle prime opere letterarie e negli antichi rotoli dipinti già appaiono personaggi nell'atto di gustare questa deliziosa bevanda; forse allora non aveva il colore e il sapore attuali ed era riservata ai nobili e al clero, ma la sua esistenza era parte importante della vita giapponese.


Negli ultimi duecento anni è divenuto di uso comune anche tra il resto della popolazione e fa parte ancora oggi di alcune cerimonie importantissime, come per esempio il matrimonio. La celebrazione con il rito shintoista prevede che gli sposi lo suggellino con il semplice atto di bere tre volte da una coppa di sake.
A chi ha visitato il Giappone sarà capitato di vedere in molti templi delle ordinatissime cataste di barilotti tondi coperti di ideogrammi molto decorativi: sono le offerte di sake portate al tempio dai cittadini privati o dalle aziende.

Oggi il sake si gusta dappertutto: nei ristoranti, in casa e in alcuni piccoli locali chiamati izakaya (negozio dov'è il sake) oppure nomiya. Al ristorante o a casa il sake è il naturale accompagnamento del pasto, ma in un giorno lavorativo lo si beve raramente a mezzogiorno, a meno che si tratti di un pranzo con ospiti; la sera ci si lascia andare al piacere di gustarlo senza particolari limitazioni.
Si accorda molto bene con il pesce, sia crudo che cotto, e dovrebbe sempre accompagnarlo. Naturalmente viene servito anche con un'infinita varietà di cibi (tenendo sempre presente che quanto arriva il riso in tavola si deve smettere di bere sake e passare al tè), ma lo si apprezza anche da solo, accompagnato da qualche salatino o stuzzichino che invogli ancor di più a bere.
Il luogo creato appositamente per questo è il nomiya: l'atmosfera è intima e piacevole, insieme con la bevanda vengono serviti appositi piattini di ogni genere e il conversare con i propri amici, o con il cuoco che serve direttamente dietro il bancone, diviene sciolto e privo di formalità.

Il sake si utilizza, come da noi il vino, anche per la cucina. Contiene zuccheri e aminoacidi, serve ad ammorbidire i cibi, ad attenuare la salinità o l'aroma troppo forte. I cuochi d'alta classe ne eliminano l'alcol dando fuoco alla quantità necessaria di sake, scaldandolo in una padella, ma in realtà si può usarlo anche senza questo raffinato accorgimento.

Come si serve:
Il taruzake è preferibile freddo, mentre il sake si beve generalmente caldo, anche se vi è chi lo gusta a temperatura ambiente o ghiacciato, a seconda della qualità. Per preparare al meglio quello caldo lo si versa nella piccola bottiglia apposita, chiamata tokkuri (contiene circa 1,8 dl) che si pone a scaldare a bagnomaria in una pentola di acqua calda, sul fuoco. Lo si serve quando il calore ne ha esaltato l'aroma, alla temperatura ottimale di circa 50°C. Si beve in piccolissime coppe chiamate sakazuki o choko.


Etichetta:
Se si è in compagnia si deve sempre versare il sake agli altri, mai a se stessi: saranno gli altri commensali che ricambieranno subito la cortesia, stando ben attenti a che la nostra coppetta non sia mai vuota.  Poichè si considera maleducato lasciare il bicchiere o la coppa sul tavolo quando qualcuno ci versa da bere, è buona norma alzare il sakazuki tenendolo fra le dita (questa regola vale anche per il bicchiere di vino o di birra, non per il tè, in quanto ci si potrebbe scottare). E kanpai è la parola giapponese che corrisponde al nostro "cin-cin" o "salute".

venerdì 21 dicembre 2012

Estetica della tavola - parte due

In un incontro formale le pietanze vengono servite una dopo l'altra o a gruppi, alternando piatti e ciotoline diversi nella forma, nei colori e nelle decorazioni, ma armonizzati fra loro, e nei quali sono disposti armoniosamente cibi raffinati dal delicato sapore in grado di soddisfare l'appetito così come lo spirito. "I piatti sono l'abito dei cibi": Shokki wa ryori no kimono.

Le vivande, sempre in quantità moderata (tutto ciò che è eccessivo, troppo colorato, ricco, vistoso è considerato volgare), vengono disposte in modo armonioso, così da soddisfare la vista prima del gusto. Sono quasi sempre decorate con un fiore, qualche foglia, piccoli rami che evocano la stagione del momento: in autunno una foglia di ginkgo o di kaki, d'inverno aghi di pino, in gennaio fiori di pruno, in marzo un ramentto di ciliegio in fiore e così via. Le verdure vengono tagliate in forme decorative e anche la cosa più banale, come una rapa, diviene simile a un elegante e soffice fiore di crisantemo.

A volte nella cucina casalinga si servono molti piatti, ma si presentano all'ospite tutti insieme. Si mangia usando i bastoncini, alternando i pezzetti di pesce e di verdura, un sorso di minestra, un boccone di riso bianco. Neppure il più umile giapponese servirebbe all'ospite il cibo in un solo grande piatto rotondo, cosa che avviene invece regolarmente per gli alimenti occidentali,o comunque "stranieri" come il curry rice, e, anche sulla mensa più semplice, ciò che si mangia viene attentamente disposto in modo che contenitori e contenuti formino un insieme armonico.

Le posate, fredde, metalliche e simbolo di violenza, sono assenti dalla tavola. Due bastoncini, di bambù o di legno naturale o laccato, servono degnamente allo scopo di portare il cibo alla bocca. Le vivande vengono servite già in piccoli bocconi o a fettine sottili. Si fa eccezione per alcuni pesci che vengono cotti e serviti interi: la loro polpa è però così tenera che si può dividere a pezzetti usando i bastoncini.

Piatti, ciotole e i vari contenitori dei cibi devono distinguersi per forma, colore e decorazione. i materiali saranno sempre diversi: ceramica, legno, bambù, porcellana e quasi mai metallo: sono ammesse soltanto certe pentole in cui si cuociono i minestroni campagnoli oppure lo speciale tegame per il sukiyaki e qualche altra rara eccezione. I piatti di ceramica, dall'apparenza grezza, ma in realtà davvero raffinata, sono i preferiti, così come le ciotole di legno laccato per le minestre.
I giapponesi amano il calore del legno e la sua leggerezza, mentre non gradiscono il freddo metallo. Il vetro non è mai stato prodotto in Giappone, se non in epoche recenti, ed è quindi una rarità sulla tavola tradizionale. I servizi di piatti e ciotole sono per cinque o per dieci persone; hanno forme diverse, triangolari, poligonali, rettangolari, quadrate, a forma di ventaglio, di foglia, di fiore, per armonizzarsi con il contenuto, quindi un'elegante asimmetria colpirà piacevolmente lo sguardo dei commensali o degli ospiti.

ATTENZIONE: prima di essere usati, gli oggetti di legno naturale, vassoi, scatole, bastoncini, ecc., vanno immersi per breve tempo in acqua in modo che, chiudendosi i pori, non assorbano l'odore del cibo. Andranno poi lavati in acqua e poco detersivo, risciacquati, asciugati e lasciati all'aria prima di essere riposti. Gli oggetti laccati, vassoi, ciotole, bastoncini, ecc., devono essere puliti subito dopo il pasto con acqua tiepida, un detersivo liquido e una spugnetta non abrasiva, risciacquati e asciugati accuratamente con uno strofinaccio morbido.

Nella disposizione dei cibi si cerca di evitare i numeri pari, in particolare il quattro, perchè la parola shi che vuol dire "4" può anche significare "morte". Si preferiranno quindi i numeri dispari.
Nella scelta degli ingredienti invece non si devono dimenticare:
  • I cinque colori: rosso, verde, giallo, bianco, nero;
  • I cinque tipi di cottura: crudo, alla griglia, a vapore, bollito e fritto;
  • I cinque sapori: amaro, dolce, salato, acidulo e piccante.