venerdì 21 dicembre 2012

Estetica della tavola - parte due

In un incontro formale le pietanze vengono servite una dopo l'altra o a gruppi, alternando piatti e ciotoline diversi nella forma, nei colori e nelle decorazioni, ma armonizzati fra loro, e nei quali sono disposti armoniosamente cibi raffinati dal delicato sapore in grado di soddisfare l'appetito così come lo spirito. "I piatti sono l'abito dei cibi": Shokki wa ryori no kimono.

Le vivande, sempre in quantità moderata (tutto ciò che è eccessivo, troppo colorato, ricco, vistoso è considerato volgare), vengono disposte in modo armonioso, così da soddisfare la vista prima del gusto. Sono quasi sempre decorate con un fiore, qualche foglia, piccoli rami che evocano la stagione del momento: in autunno una foglia di ginkgo o di kaki, d'inverno aghi di pino, in gennaio fiori di pruno, in marzo un ramentto di ciliegio in fiore e così via. Le verdure vengono tagliate in forme decorative e anche la cosa più banale, come una rapa, diviene simile a un elegante e soffice fiore di crisantemo.

A volte nella cucina casalinga si servono molti piatti, ma si presentano all'ospite tutti insieme. Si mangia usando i bastoncini, alternando i pezzetti di pesce e di verdura, un sorso di minestra, un boccone di riso bianco. Neppure il più umile giapponese servirebbe all'ospite il cibo in un solo grande piatto rotondo, cosa che avviene invece regolarmente per gli alimenti occidentali,o comunque "stranieri" come il curry rice, e, anche sulla mensa più semplice, ciò che si mangia viene attentamente disposto in modo che contenitori e contenuti formino un insieme armonico.

Le posate, fredde, metalliche e simbolo di violenza, sono assenti dalla tavola. Due bastoncini, di bambù o di legno naturale o laccato, servono degnamente allo scopo di portare il cibo alla bocca. Le vivande vengono servite già in piccoli bocconi o a fettine sottili. Si fa eccezione per alcuni pesci che vengono cotti e serviti interi: la loro polpa è però così tenera che si può dividere a pezzetti usando i bastoncini.

Piatti, ciotole e i vari contenitori dei cibi devono distinguersi per forma, colore e decorazione. i materiali saranno sempre diversi: ceramica, legno, bambù, porcellana e quasi mai metallo: sono ammesse soltanto certe pentole in cui si cuociono i minestroni campagnoli oppure lo speciale tegame per il sukiyaki e qualche altra rara eccezione. I piatti di ceramica, dall'apparenza grezza, ma in realtà davvero raffinata, sono i preferiti, così come le ciotole di legno laccato per le minestre.
I giapponesi amano il calore del legno e la sua leggerezza, mentre non gradiscono il freddo metallo. Il vetro non è mai stato prodotto in Giappone, se non in epoche recenti, ed è quindi una rarità sulla tavola tradizionale. I servizi di piatti e ciotole sono per cinque o per dieci persone; hanno forme diverse, triangolari, poligonali, rettangolari, quadrate, a forma di ventaglio, di foglia, di fiore, per armonizzarsi con il contenuto, quindi un'elegante asimmetria colpirà piacevolmente lo sguardo dei commensali o degli ospiti.

ATTENZIONE: prima di essere usati, gli oggetti di legno naturale, vassoi, scatole, bastoncini, ecc., vanno immersi per breve tempo in acqua in modo che, chiudendosi i pori, non assorbano l'odore del cibo. Andranno poi lavati in acqua e poco detersivo, risciacquati, asciugati e lasciati all'aria prima di essere riposti. Gli oggetti laccati, vassoi, ciotole, bastoncini, ecc., devono essere puliti subito dopo il pasto con acqua tiepida, un detersivo liquido e una spugnetta non abrasiva, risciacquati e asciugati accuratamente con uno strofinaccio morbido.

Nella disposizione dei cibi si cerca di evitare i numeri pari, in particolare il quattro, perchè la parola shi che vuol dire "4" può anche significare "morte". Si preferiranno quindi i numeri dispari.
Nella scelta degli ingredienti invece non si devono dimenticare:
  • I cinque colori: rosso, verde, giallo, bianco, nero;
  • I cinque tipi di cottura: crudo, alla griglia, a vapore, bollito e fritto;
  • I cinque sapori: amaro, dolce, salato, acidulo e piccante.

domenica 2 dicembre 2012

Estetica della tavola - parte uno

Un tratto distintivo dell'arte gastronomica giapponese e che ne rappresenta l'asse portante è la bellezza estetica della presentazione dei cibi: ecco dunque regole fondamentali che possiamo quasi ritenere eccessive, ma che è necessario rispettare perché sono di importanza capitale. Chi saprà seguirle scoprirà un mondo nuovo e troverà in sé capacità artistiche a volte inaspettate.

La tradizione vuole che i pasti vengano serviti su piccoli tavolini di legno laccato, o zen, posti davanti a ogni persona seduta su un cuscino appoggiato sui tatami, tradizionale pavimentazione giapponese composta da rettangoli di paglia di riso intrecciata 90x180 cm circa. Non ci si deve quindi servire da un piatto di portata, ma il cibo giunge ai commensali già preparato in porzioni individuali.
Oggi i pranzi, anche quelli eleganti, vengono serviti su normali tavoli, ma può accadere di essere invitati in un'occasione speciale in cui si usano ancora i bassi tavolini di una volta. In questo caso la persona siede su un cuscino, gli uomini a gambe incrociate, le donne inginocchiate, e trova il pranzo davanti a sé, all'altezza delle ginocchia. Le ciotole con il riso e la zuppa possono, anzi devono, essere alzate al momento in cui si mangia, tenendole con la mano sinistra, mentre la destra impugna i bastoncini, per essere portate vicino alla bocca. Gli altri cibi, invece, vanno sollevati a piccoli bocconi con le bacchette.
Le ciotole e i piatti hanno una posizione prestabilita sul vassoio e, più precisamente:
  • il riso va a sinistra di chi mangia, in ciotole di ceramica;
  • la minestra bell'angolo destro, in ciotole di legno laccato,
  • i bastoncini devono essere vicini, perfettamente in linea davanti al commensale e con la punta verso sinistra appoggiata su un piccolo sostegno, mai in altra posizione; soltanto per scopi fotografici è ammesso metterli in un angolo di piatti grandi e quadrati o rettangolari;
  • gli altri piatti vanno messi nella parte rimasta vuota al di là delle ciotole di riso e di minestra, negli angoli e in mezzo al vassoio-tavolino; la stessa disposizione vale quando si serve un pasto senza il vassoio, posando i piatti semplicemente sul tavolo.
I giapponesi non usano tovaglie, ma dispongono ciotole e ciotoline direttamente sui tavoli, che sono di legno scuro trattato in modo da non risentire di eventuali macchie. I nostri non sono adatti perché il legno si rovina e plastica o formica sono sgradevoli, fredde. Non resta che usare una tovaglia abbastanza scura perché i piatti vi possano spiccare e i colori ne vengano esaltati. Il bianco è rischioso l'aspetto estetico della tavola può essere rovinato anche da una sola macchia di salsa di soia.

domenica 25 novembre 2012

Bevande - Dal rito alla tavola

L'enorme diffusione della cucina giapponese in Europa ha introdotto l'abitudine di accostare il vino a sushi e sashimi, con risultati molto gradevoli. Sakè e tè verde rimangono però le bevande tradizionali, ancora molto in voga.

Sakè 
Si ottiene dal riso fermentato (non distillato), è di gradazione alcolica attorno ai 15-17°, di colore trasparente. In realtà il vocabolo esatto per definire il vino di riso è nihonshu (vino giapponese), in quanto il termine sakè può indicare tutte le bevande alcoliche. Tuttavia quest'ultima parola è oggi la più usata per indicare il "vino" tipico giapponese ed essendo di più facile memorizzazione è conosciuta in tutto il mondo.


Tè (Cha)
O meglio ocha, e il prefisso onorifico rivela il rispetto e l'importanza che i giapponesi danno alla bevanda.
Al contrario di quello indiano (fermentato) o cinese (semifermentato) che hanno un colore marrone scuro, e pur essendo fatto con le foglie della stessa pianta, il tè giapponese non è fermentato e mantiene così inalterate tutte le sostanze che lo rendono preziono. Di solito ha un colore verde e, malgrado abbia un sapore leggerissimamente amarognolo, si serve senza aggiungere altro: nè latte, nè miele, nè limone, nè zucchero.

lunedì 19 novembre 2012

Le buone maniere

L'etichetta giapponese vuole che il cibo non si tocchi con le mani, ma che si usino i bastoncini. Una sola eccezione: i bocconi di sushi che possono essere presi delicatamente tra due dita e consumati in un colpo solo. All'appassionato questo è permesso.

Prima di mangiare si usa dire Itadakimasu, "ricevo" (questo cibo), frase che quindi non corrisponde al nostro buon appetito. Quando il pasto è a termine, si ringrazia chi ha invitato, o cucinato, con l'espressione Gochiso sama deshita (grazie per l'ottimo pranzo). Questa forma di gentilezza vale in casa propria così come al ristorante, al cuoco e a chi ci ha invitato.
Di solito gli alimenti si presentano in pezzi già pronti, ma in qualche caso questi possono essere un pò grandi. La regola prevede che si tenti di spezzare il boccone con i bastoncini; se ciò risultasse difficile è ammesso prenderlo con gli stessi, portarlo alla bocca e staccarne un pezzo tenendo intanto ciò che rimane a mezzaria. Finito il primo boccone si porta il pezzo restante alla bocca e si dà un altro morso o lo si finisce (a seconda della grandezza).

Le zuppe si sorbiscono dalla ciotola di legno in cui vengono di solito servite e il cucchiaino appare in tavola solo per la crema di uova al vapore. Non si sta con la testa bassa, vicino ai piatti (questo atteggiamento è definito inugui, "mangiare come un cane").

A tavola si dovrebbe evitare di soffiarsi il naso, soprattutto rumorosamente, e invece è ammesso usare gli stuzzicadenti (che nei locali di buon livello sono posti sulla tavola in scatolette laccate, avvolti uno per uno in un involucro di carta).
Un'altra differenza, notevole, con l'etichetta italiana consiste nel fatto che i rumori fatti con la bocca non siano considerati disdicevoli: la gente comune risucchia con voluttà il tè caldo, le minestre e soprattutto le paste in brodo. Forse solo nelle classi sociali più elevate questa usanza è evitata. Il popolo del Sol Levante ama godere un pasto in ogni modo e con tutti i sensi, con gli occhi, con il naso, con la bocca, ma anche con le orecchie. Gradisce infatti molti alimenti croccanti, che producono una masticazione rumorosa. Ma nello stesso tempo un ristorante giapponese colmo di clienti non sarà mai pieno di rumore, perchè essi non parlano a voce alta.

Nei banchetti si offre spesso una porzione extra a ogni commensale, perchè venga portata a casa e così anche la famiglia possa godere del cibo offerto al pranzo.
A qualsiasi ora del giorno si riceva una persona, le si offre frutta o gelato, o del tè con un dolce oppure osenbei (sorta di biscotti salati); non si chiede all'ospite se desideri qualcosa, sarebbe cosa poco gentile e inoltre lo si metterebbe in imbarazzo, costringendolo a rifiutare, per non dare disturbo, anche se muore di sete.
Ultimissima, ma importante, abitudine giapponese, che sarebbe molto piacevole se venisse adottata (non è neppure troppo costosa), l'oshibori: un piccolo asciugamano arrotolato, inumidito e caldo, da offrire all'ospite per pulirsi le manii prima di cominciare il pasto e, spesso, anche alla fine. Sono sufficienti delel salviettine di spugna bagnate con acqua bollente, ben strizzate, arrotolate strette e poste in piccoli cestelli di legno o di bambù. L'ospite ne sarà entusiasta. D'estate l'oshibori può essere preparato con acqua fredda e lasciato in frigorifero prima dell'uso; passato sulla pelle darà un grande sollievo e chi non l'ha mai provato lo troverà delizioso.


martedì 13 novembre 2012

I Bastoncini (Ohashi)

Anche se nei ristoranti in Italia vengono fornite a richesta le forchette, è bene impadronirsi del segreto per maneggiare questi strumenti a prima vista ostici, ma che si rivelano utilissimi nono appena si abbia con essi una certa dimestichezza. 
Si pensi che se un terzo popolazione mondiale mangia con le mani, un altro terzo con coltello e forchetta, il rimanente terzo utilizza i bastoncini. 
Questi minuscoli, eleganti oggetti sono ben diversi dalle nostre posate, a volte lussuose, ma fredde, pesanti, metalliche, rumorose. I bastoncini di legno di sugi (cedro o cipresso giapponese) conferiscono al cibo un piacere ulteriore, esaltato dal raro, leggero aroma di questo legno. 
Originari della Cina, in cui vengono usati da millenni, i bastoncini furono introdotti in Giappone tra il III e il V secolo d.C. e subito adottati: da allora sono sempre usati, sia durante il pasto sia per cucinare. In Cina sono generalmente di avorio, legno o metallo; in Giappone soprattutto di bambù o di legno, a volte lasciato al naturale, altre laccato. 
 L'uso degli ohashi è sempre stato uno dei primi insegnamenti impartiti dalle madri ai proprio figli. 
Vanno disposti paralleli al bordo del tavolo, vicini a chi li userà, con le punte appoggiate su un piccolo oggetto detto hashi oki, intonato alla stagione, di forma e colore sempre diversi. Si prendono con la destra, con il palmo rivolto in giù, si poggiano sulla mano sinistra, che li tiene da sotto per un attimo mentre la destra li prende col palmo in su. 
Si pone uno dei due tra pollice e indice con la punta a sinistra e la parte centrale appoggiata all'anulare; l'altro si tiene tra il pollice e le punte di indice e medio uniti, che lo possono così muovere in modo che le punte dei due bastoncini si avvicinino. 
A volte si tende ad afferrarli troppo vicino alla punta, ma in questo modo l'uso diventa difficile ed è anche bene non stringerli troppo.
Dopo essere stati usati, i bastoncini si depongono così come stavano sul tavolo, con la punta sul piccolo supporto hashi oki. 
Per l'uso le regole sono tante e ben precise: 
  • non si impugnano come un pugnale;
  • non si infilza con essi il cibo;
  • non si piantano in verticale in una ciotola di riso bianco bollito. Ciò rammenta ai giapponesi un'usanza funebre;
  • non si gesticola con la mano che stringe gli ohashi e non si puntano verso qualcuno mentre gli si parla;
  • non si passano mai bocconi da bastoncini a bastoncini . Il motivo è sempre un'usanza funebre;
  • non si tiene la ciotola del riso vicino al viso e non si usano i bastoncini per buttare il riso in bocca a "palate";
  • non si esplora il contenuto di un piatto con la punta delle bacchette per cercare il boccone preferito;
  • non si afferra una ciotola con la mano che impugna i bastoncini;
  • non si leccano;
  • non si consumano due pietanze senza toccare il riso tra l'una e l'altra.
I bastoncini del ristorante (waribashi) sono quasi sempre di legno naturale, uniti all'estremità più grossa così che prima di usarli vanno separati. In tal modo si è certi che nessuno li ha adoperati prima e che dopo di noi saranno gettati. In casa invece si usano ohashi di bambù, di legno naturale o laccato, questi ultimi spesso decorati con motivi colorati, che si lavano e usano più volte.Agli ospiti sarà meglio offrire waribashi di legno.
Quelli di legno laccato, come tutti gli oggetti di questo tipo, vanno lavati con acqua tiepida, passati con una spugna morbida intrisa di detersivo liquido, risciacquati e asciugati.

giovedì 8 novembre 2012

Menu Autunnale


Siamo in pieno autunno (Aki), e anche se le temperature non sono ancora rigide, ecco a voi un esempio di menu giapponese autunnale:


Pranzo:     Riso con carne
                   Insalata di granchio
                   Minestra di alga wakame e uova
                   Tè
                   Pera

Cena:        Fiori di pollo
                   Pesce stufato
                   Minestra trasparente
                   Riso e castagne
                   Cavolo sott'aceto
                   Tè
                   Kaki

lunedì 5 novembre 2012

Sushi bar

Quella del sushi bar è un'esperienza da non perdere, il modo migliore per cogliere l'essenza di questa professione è assistere ad un'esibizione degna di una performance teatrale.
Entrando in un sushi bar degno di questo nome troverete un'atmosfera molto calda e accogliente. Sedetevi al bancone; davanti a voi sono disposti  in bella mostra varietà di pesce e di verdure, perchè possiate verificarne la freschezza e ammirarne la perfezione.
Lo chef, impeccabile in camice bianco e bandana, prepara il cibo che preferite, muovendosi con gesti sapienti e veloci, sorridendovi con squisita cortesia e assecondando ogni vostro desiderio. Si prenderà cura di voi, cercando anche di comprendere i vostri gusti, perchè questa è una qualità fondamentale dello chef di sushi.

Non esiste un menù preciso. Cominciate con del sashimi e poi scegliete tra le molte, incredibili varietà di maki o di nigiri esposte nelle vetrinette davanti a voi; lo chef vi presenterà pochi bocconi per volta, guarniti con zenzero sottaceto, ottimo anche per pulire la bocca tra una portata e l'altra. Potete chiedere una zuppa di miso come accompagnamento e bere a scelta tè, sakè oppure birra. E' molto diffusa l'usanza di esporre all'esterno dei ristoranti alcune copie di cera delle varietà di sushi disponibili. Queste imitazioni, assolutamente identiche agli originali, sono prodotte da artigiani specializzati con tale maestria da rendere impossibile distinguere un nigiri vero da uno di cera.

giovedì 1 novembre 2012

Armonia e stile

Nell'apparecchiare la tavola giapponese ideale, abbiate cura che ogni commensale, oltre al piatto, abbia davanti a sè, paralleli al bordo del tavolo, una ciotolina per la salsa di soia e i bstoncini sull'apposito appoggio, che di solito è una formina di ceramica decorata.
Benchè il sashimi sia in genere la prima portata, non c'è un ordine preciso da seguire. Potete tranquillamente alternare i vari tipi di sushi secondo il vostro gusto, considerando soltanto che è meglio cominciare dal sushi arrotolato perchè col passare del tempo le alghe nori, essendo a contatto col riso, si inumidiscono. Per meglio gustare i sapori, sarebbe opportuno consumare prima il sushi di pesce bianco, più delicato, e poi passare a quello preparato con tonno o con pesce azzurro. Il sashimi si mangia con le bacchette: prendete le fettine una per una e intingetele appena nella salsa di soia, nella quale avrete sciolto una punta di wasabi.
Il sushi invece potete anche mangiarlo con le mani: ricordate che è nato per essere consumato per strada. prendete un nigiri con la mano destra, tenetelo tra il pollice e l'indice e passatelo velocemente nella salsa dalla parte della guarnizione di pesce. Portatelo alla bocca così, in modo da sentire prima il sapore del pesce e del condimento. Mangiate i pezzetti di sushi in un solo boccone, e non intingeteli mai dalla parte del riso, o vi si disferanno nel piatto.
Non esagerate con salsa di soia e wasabi: servono a esaltare il gusto dei cibi, non a coprirlo o stravolgerlo. Se usate le bacchette, ricordatevi di non portarle alla bocca senza cibo: è contrario all'etichetta.
Non passate mai il cibo dalle vostre bacchette a quelle di un altra persona, perchè questo ricorda la cerimonia della cremazione, durante la quale i parenti si passano le ossa del defunto con le bacchette, prima di metterle nell'urna.
E' sempre meglio distribuire il sushi nei piatti in numero dispari, evitate comunque il numero 4, che non è di buon auspicio secondo la tradizione giapponese. 

mercoledì 31 ottobre 2012

Sushi Chef - Una professione difficile

Volontà e disciplina sono le doti indispensabili per diventare chef di sushi, completate da autocontrollo e forte personalità: i tratti caratteristici di questa "molto onorevole" professione sollecitano facilmente il paragone con i nobili samurai.
Chiunque voglia abbracciarla, deve prevedere di affrontare un lungo apprendistato: aspettare almeno quattro anni prima di poter toccare un coltello, e dieci anni prima di essere chiamato chef.
Durante i primi due anni, un apprendista può soltanto osservare il proprio shokunin (maestro) e intanto svolgere mansioni di lavapiatti o pulire i pavimenti. In seguito imparerà la tecnica di cottura del riso, dosando alla perfezione l'aceto e lo zucchero per condirlo; sarà quindi ammesso a fare i maki, e soltanto dopo quattro anni sarà iniziato all'arte del taglio del pesce e della composizione dei sushi.
In questo stesso periodo imparerà anche ad acquistare il pesce al mercato, cosa che richiede molta esperienza, prontezza e attitudine agli acquisti, considerata l'estensione dei mercati in Giappone e la varietà dell'offerta. Oltre a tutto questo e a una certa abilità manuale, è necessario avere senso artistico e una spiccata sensibilità per la decorazione.
Chi arriva in fondo e completa questo duro percorso di formazione è degno di molta considerazione e rispetto.
Quella dello chef di sushi è da sempre una professione maschile: tradizionalmente si riteneva che le mani femminili, avendo mediamente una temperatura più alta, rovinassero il pesce durante la manipolazione. Oggi si tende a considerare un pregiudizio questo modo di vedere le cose, soprattutto fuori dal Giappone.